1. Gli Hill sono vivi

    Ogni tanto arriva il resoconto di un contatto UFO totalmente diverso da tutti gli altri, cui generalmente segue una nutrita serie di testimonianze dello stesso tipo. Il caso di Betty e Barney Hill, però, è stato assolutamente straordinario: dopo la diffusione della loro esperienza, i racconti di episodi analoghi sono arrivati addirittura a migliaia! E Betty e Barney Hill erano stati rapiti dagli alieni…

    “C’è qualcuno là fuori. E vi sta spiando”, disse la voce.
    La mano della donna tremava mentre stringeva la cornetta del telefono.
    “Grazie”, sussurrò. “Sapevo che non era solo la mia immaginazione”.
    Rimise a posto il telefono con un gesto brusco. L’uomo alto, dalla carnagione scura, che era seduto a bordo di una sedia, le rivolse uno sguardo pieno di apprensione.
    “Chi era?”, chiese, con voce rauca.
    Il volto della donna era pallido e incorniciato da una spessa cortina di capelli neri.
    “probabilmente sono umani”, mormorò.
    “E allora perché non si fanno avanti, se vogliono parlarci?”
    Proprio mentre diceva queste parole, qualcuno bussò alla porta. Un colpo secco. Sia l’uomo che la donna balzarono in piedi, gli occhi fissi alla porta del corridoio, immobili.
    “Vai tu, Barney”, disse la donna, con una specie di gemito.
    L’uomo si mosse con rigidità meccanica, dicendo: “Vado io, tesoro”, come se non l’avesse sentita.
    Si umettò le labbra mentre apriva cautamente la porta del corridoio; poi rimase fermo con la mano sulla maniglia della porta d’ingresso per un attimo che durò un’eternità. “Chi è?”, chiese con voce flebile e gracidante, molto strana per un uomo della sua corporatura.
    “Jess Winter, Mr Hill. Si ricorda, le ho telefonato per chiederle se potevo passare questa sera?”
    “Chi è?”, chiese Betty Hill dal soggiorno.
    “Mr Winter!”, le rispose il marito. “Della UFO Society. Voleva intervistarci. Te lo ricordi?”
    “Me ne ero dimenticata”, disse la donna con una risatina nervosa. “Fallo entrare mentre metto su un caffè”.
    Barney Hill aprì la porta. Jess Winter era giovane, aveva uno zaino sulle spalle e porse a Barney una mano gracile che quasi scomparve nella sua zampa da orso. “Lieto di conoscerla, Mr Hill! E’ un grande privilegio per me quello di poter parlare con voi. Probabilmente i vostri saranno, per l’ufologia, i nomi più importanti dei prossimi vent’anni!”.
    Si passò nervosamente la mano sui capelli quasi rasati, mentre i suoi occhi scintillavano nella luce pallida del corridoio.
    “Entra, Jess”, disse Barney Hill facendogli strada verso il soggiorno. La stanza dove entrarono era accogliente, dai colori un po’ scialbi, ma non priva di una certa ricchezza.
    Dalla cucina li raggiunse la voce allegra di Betty: “Il caffè è sul fuoco. Può iniziare con le domande, mentre finisco di sistemare”.
    Sembrava contenta di avere un pretesto per muoversi, mentre preparava le tazze e controllava la caffettiera.
    Jess Winter si schiarì la gola. Era decisamente il più nervoso dei tre.
    “Non voglio influenzare il vostro racconto facendovi delle domande”, cominciò. “Abbiamo notato che gli intervistati tendono a rispondere in base a quello che speriamo di sentirci dire, invece di limitarsi alla verità”.
    Barney Hill annuì lentamente. Il giovane intervistatore si schiarì la gola e continuò: “Penso che potreste raccontarmi tutta la storia dall’inizio”, suggerì, mentre frugava nello zaino e ne estraeva un blocco e una penna a sfera.
    Betty cominciò a parlare, e la sua voce era piatta e monotona come se raccontasse una storia che sapeva a memoria.
    “Era la notte del 19 settembre 1961. Io e Barney tornavamo in macchina da Montreal. Eravamo stati alle cascate del Niagara per qualche giorno di vacanza e stavamo rientrando a casa quando accadde il fatto. Avevamo deciso di viaggiare di notte per risparmiare sul conto dell’hotel. Ci siamo fermati a mangiare qualcosa verso le dieci in un posto che si chiama Sherbrooke”.
    Jess Winter intanto consultava una carta geografica e seguiva col dito la strada che partiva d aMontreal.
    “Poi abbiamo preso la Highway US3 in direzione sud. Abbiamo percorso circa trenta miglia senza incontrare anima viva, nemmeno una macchina, e senza intravvedere nessuna luce dalle case. A un certo punto abbiamo visto nel cielo un bagliore intenso e molto brillante”.
    “Chi se ne è accorto per primo?”, chiese l’invervistatore.
    Betty Hill portò dalla cucina un vassoio e lo appoggiò su un tavolino basso. Si strinse nelle spalle. “Era così strano che penso che l’abbiamo notato tutti e due contemporaneamente. Una luce brillantissima che si muoveva nel cielo a una velocità straordinaria. Ad ogni modo, ci fermammo e scendemmo dalla macchina portando con noi i nostri binocoli”.
    “E cosa avete visto?”, chiese impaziente Jess Winter.
    “Lo sto dicendo”, rispose la donna un po’ seccata. Era la sua storia, e sapeva bene come raccontarla. “Era piatto, come una frittella, intendo. Aveva delle luci sul davanti, ma non di dietro, così quando ruotava su se stesso sembrava lampeggiasse. Disponeva anche di una coppia di alette sul bordo con delle luci rosse in cima”.
    Barney Hill si frugò in tasca ed estrasse timidamente un foglio di carta.
    “Quando ho saputo che sarebbe venuto a trovarci, ho fatto questo schizzo”.
    “Grazie”, esclamò Jess Winter. “Ha avuto una bellissima idea, Mr Hill!”
    Betty era impaziente di continuare il suo racconto.
    “Ci siamo fermati ancora, circa venti miglia più avanti e siamo scesi di nuovo dalla macchina...”
    “A quel punto avreste dovuto essere nella zona della Foresta Nazionale”, la interruppe l’ufologo, dopo aver controllato sulla sua cartina.
    “Esattamente. Adesso la frittella era immobile, sembrava proprio davanti a noi. Ed era vicinissima!”
    “Non avevamo paura, vero, tesoro?”, intervenne Barney. “Anche se potevamo vedere chiaramente dentro quei finestrini. Continuavo a dirti che doveva esserci una spiegazione. Fissavo quell’UFO e ti ripetevo che non credevo agli UFO! Ma quando furono ancora più vicini, riuscii a vedere delle figure vestite con uniformi nere scintillanti. Mentre ne osservavo una... mi resi conto che quella stava fissando proprio me. Fu allora che provai quella sensazione misteriosa”.
    “Misteriosa?”
    “Terrore. Come se dovessi lottare per la mia vita”. Barney tremava.
    Betty fece un sorrisetto tirato.
    “E’ risalito in macchina gridando ‘Vogliono catturarci! Vogliono catturarci!’ Ha schiacciato l’acceleratore a tavoletta e siamo fuggiti come se scappassimo dalle fiamme dell’inferno”, disse.
    “E’ stato allora che ho sentito quel crepitio metallico sul baule della macchina. Come se ci stessero sparando. Credo di non avere mai avuto tanta paura in vita mia.”
    Barney bevve il suo caffè, mentre Betty teneva la tazza tra le mani e fissava il pavimento.
    2La settimana dopo riferimmo tutto a un gruppo di ufologi”, disse.
    “E...”, la incalzò Jess. Sapeva che quello era solo l’inizio della storia.
    “Nei due mesi successivi raccontammo la nostra storia diverse volte. Facevo dei sogni strani, ma sulle prime non mi erano sembrati importanti. Sogni in cui ero dentro un’astronave. Solo quando un ragazzo di un gruppo UFO mi chiese come mai ci avevo messo tanto tempo a tornare a casa, me ne resi conto. Avevamo perso almeno due ore! Fu allora che cominciai a prendere sul serio quei sogni. Capii che potevano spiegare quelle due ore mancanti. Ci eravamo stati davvero, dentro l’astronave!”
    Barney si sporse un po’ in avanti.
    “Io non riuscivo a ricordare niente, da solo, ma la UFO Society mi ha suggerito di farmi ipnotizzare... sostenevano che l’ipnosi avrebbe risvegliato i ricordi chiusi nella mia mente”.
    Jess Winter annuì.
    “Mi racconti quei sogni”, disse.
    Gli occhi della donna erano stanchi e vuoti mentre fissava il blocco dell’intervistatore. Poi cominciò a parlare a mitraglia, mentre lui scriveva rapidamente.
    “Risaliamo in macchina. Riprendiamo la strada a tutta velocità. Giriamo bruscamente prima a sinistra, poi a destra. E li vediamo, alla luce dei fari. Sono undici, in mezzo alla strada. Le loro uniformi nere scintillano. Voglio andargli addosso. Metterli sotto. Superare quel cordone. Scappare. Ma il motore all’improvviso si spegne. La macchina si ferma da sola. Barney gira la chiave, ma non c’è niente da fare. Siamo in trappola. Non possiamo più andare né avanti né indietro. Cominciano a camminare verso di noi! Sono orribili. Due braccia e due gambe. Una faccia piatta, con le narici, ma senza il naso. Occhi come occhi di lucertola”.
    “Aprono le portiere della macchina”, continuò Barney, “ci prendono per le braccia e ci conducono per un sentiero tra i boschi”.
    “Io ti parlo”, disse Betty, “ma tu non mi senti”.
    “Ti sento”, replicò il marito, mentre il sudore cominciava a imperlare la sua fronte scura. “Solo che non posso rispondere. Non posso fare nient’altro che camminare. Ci portano fino a una radura dove si trova l’astronave”.
    “E’ grande. Grande come questa casa”, riprese Betty. “Dobbiamo salire su una rampa per entrare. C’è buio, dentro, e io non voglio entrare. Mi sembra di non riuscire a controllarmi”.
    “C’è un corridoio esterno che corre tutt’intorno all’astronave”, spiegò Barney. “Su questo corridoio si affacciano delle stanze. Portano Betty nella prima...”
    “Voglio sapere perché Barney non può venire con me”, gridò Betty, pallida come il latte del piccolo bricco sul vassoio. “Il loro capo mi dice che hanno solo una stanza per l’esame. Porteranno Barney nella stanza accanto, e così perderanno meno tempo. Poi comincia a farmi delle domande...”
    “In inglese”, spiegò Barney. “Parlavano inglese”.
    “Mi chiedono che cosa mangio, quanti anni ho e poi cominciano a esaminarmi. Prelevano del cerume dalle mie orecchie, e mi tagliano le unghie. Mi prendono anche un pezzetto di pelle”.
    La donna si arrotolò una manica e mostrò una chiazza infiammata sull’avambraccio. “Ma il momento peggiore è quando mi infilano un grosso ago. Dicono che vogliono esaminarmi internamente. Sto per gridare quando sento l’ago che... ma il capo agita una mano davanti ai miei occhi e il dolore svanisce. Non ho nemmeno più paura”.
    “Non dimenticarti la prova, Betty”, disse Barney. Betty annuì.
    “Il capo mi mostra una mappa. Dice che è una carta del cielo. Mi indica il loro pianeta. Quando chiudo gli occhi vedo ancora quella lontana galassia. Qualche volta guardo le stelle, adesso, e mi chiedo dove sono, loro. Quelle strane creature.”
    Marito e moglie rimasero in silenzio. Alla fine Jess Winter disse:
    “Vi hanno riportato alla macchina”.
    Betty Hill lo guardò con un’espressione strana, come se si fosse appena svegliata in una stanza sconosciuta.
    “Noi... tornammo alla macchina, ricordo. Guardammo verso il bosco e vedemmo la frittella rotolare come una palla scintillante e svanire a velocità supersonica.”
    “E poi ritornaste a casa.”
    Betty respirò profondamente.
    “Mi voltai verso Barney e gli dissi: ‘Adesso ic credi, ai dischi volanti?’, e Barney disse soltanto: ‘Non essere ridicola’. Era come se avesse dimenticato tutto nel momento in cui era risalito in macchina. E anch’io iniziai a ricordare solo dieci giorni dopo, quando cominciai a fare quei sogni. Solo che, naturalmente, non erano semplici sogni... Barney aveva visto le stesse cose!”
    “Aveva parlato dei sogni a suo marito?”, chiese l’ufologo.
    “Certo!”, esclamò Betty, stupita da quella domanda. Si portò una mano alle labbra. “Non penserà che abbia di punto in bianco deciso di credere ai miei sogni!”
    “E’ possibile”, disse Jess Winter.
    “Ma ci sono un sacco di cose misteriose che ci stanno capitando”, disse Betty piano. Aveva l’aria preoccupata. Parlava lentamente, in modo esitante. “C’erano un mucchio di foglie - foglie secche - sul tavolo della cucina. Mi sono avvicinata per gettarle via e ho visto qualcosa che luccicava là in mezzo. Erano i miei orecchini, quelli che portavo quando ci hanno rapiti”.
    “Altre cose strane?”
    “Sciocchezze...”, intervenne Barney. “Ma prima non ci erano mai accadute. Un sacco di problemi con gli elettrodomestici. Tostapane, frigorifero, radio e televisione. L’impianto antifurto che scatta senza nessun motivo”.
    “Niente ladri?”, chiese l’intervistatore.
    Betty lo guardò prima di specificare: “Non umani, perlomeno. Abbiamo visto delle ombre in cortile, dopo il tramonto. Proprio prima che arrivasse lei, i nostri vicini ci hanno telefonato per dirci che anche loro le vedevano. Qualcosa che si muoveva furtivamente, là fuori. Non hanno ancora finito con noi, Mr Winter. Ci tengono ancora d’occhio. C’è qualcuno là fuori, adesso”.
    “Perché, Mrs Hill?”
    La donna si alzò per andare a sedersi vicino al marito. Strinse la sua mano con tanta forza che le sue nocche divennero bianche.
    “Perché torneranno da noi. Prima o poi, da qualche parte, torneranno a prenderci”.
    “E se non riusciranno?”
    “Allora prenderanno qualcun altro. Ma torneranno. Mi creda, Mr Winter. Torneranno. E la cosa più spaventosa è...che non c’è nulla che possiamo fare per impedirglielo!”
      Share  
     
    .