1. I bambini vedono altre dimensioni

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    By *ROS* il 8 May 2012
     
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    "I bambini vedono cose che noi non vediamo"

    di Francesco Lamendola


    Molti libri sono stati scritti sull'argomento, alcuni anche ben fatti. Da parte loro gli psicologi, tuttavia, si muovono generalmente dal punto di vista di una scienza immanentista e materialista, per cui essi danno per scontato che non bisogna cercare fuori della mente la spiegazione di qualunque processo od evento, per quanto insolito. Valga per tutti il caso dei cosiddetti "compagni di giochi immaginari", che tutti gli psicologi di formazione accademica interpretano unicamente come una creazione della fantasia di bambini particolarmente sensibili ed emotivi e abituati, per le più varie circostanze, a trascorrere troppo tempo da soli.
    Solo pochissimi studiosi hanno osato sfidare il paradigma materialista della psicologia moderna e hanno sostenuto, ad esempio, che certe forme di "pavor nocturnus", e gli stati nevrotici che ne derivano, sono spiegabili ammettendo che i bambini possiedano la facoltà di vedere e sentire realtà ultra-dimesionali, quali l'apparizione di creature demoniache: esperienze che, di norma, essi non osano confidare agli adulti, anche perché sanno che non verrebbero creduti. Tra questi, si segnala lo psichiatra inglese John Guirdham, che fece egli stesso, da bambino, una esperienza di questo genere; ciò che gli permise, a suo tempo, di interpretare tutta una serie di patologie della personalità infantile.
    «Ciò che il bambino vede nel suo terrore notturno è reale per lui. E, molto spesso, è reale nel senso più stretto della parola. Ciò che egli sta vedendo è la simbolizzazione visiva del Male in forme che sono pervenute a noi attraverso eoni di tempo e che sono indipendenti dalla cosiddetta capacità immaginativa del bambino. Le facce che vede sono invariabilmente cattive. Sono di satiro e di diavolo. Ed è notevole come bambini poco dotati dal punto di vista del disegno siano capaci di esprimere i loro terrori notturni. Facce orrende e sogghignanti sono ricordate da bambini per i quali una simile fraseologia rappresenta il culmine della capacità descrittiva. È come se essi avessero percepito per la prima volta una realtà vivida e descrivibile.»
    L'esorcista e studioso Corrado Balducci riporta, con dovizia di particolari, il celebre casi di due fratelli, due bambini alsaziani che, nella seconda metà del XIX secolo, furono vittime di una prolungata possessione demoniaca che mise a soqquadro l'intero paese. Ed è noto che i testimoni di numerose apparizioni mariane - da Lourdes, a Fatima, a Medjugorie - furono bambini o adolescenti nell'età puberale; così come lo sono, di norma, i presunti agenti del fenomeno del "poltergeist". E, inoltre, è noto che la quasi totalità delle fiabe, dei racconti e delle storie popolari relativi a gnomi, elfi, coboldi, folletti e altre simili creature, vedono coinvolti - appunto - dei bambini (come lo era Alice, la protagonista dei due fortunati romanzi di Lewis Carroll).
    Anche al giorno d'oggi, vi è chi sostiene che il "piccolo popolo" delle strane creature del folklore esiste tuttora, per quanto sia estremamente elusivo nei confronti degli esseri umani. Il più convinto sostenitore dell'esistenza di questa Seconda Razza era lo scrittore inglese Arthur Machen (1863-1947), specializzato in romanzi e racconti del terrore, fra i quali "Il gran dio Pan" e "La casa degli spiriti", molto apprezzati dai cultori del genere. Anche sir Arthur Conan Doyle, il celeberrimo inventore del personaggio di Sherlock Holmes, si era convinto dell'esistenza delle fate, dopo che due bambine inglesi le avevano vedute e fotografate, nel 1920 (anche se, molti anni più tardi, una di queste ultime confessò che si era trattato di uno scherzo).
    Tornando alle apparizioni, il parapsicologo americano William G. Roll (quasi omonimo del noto sensitivo di Torino, recentemente scomparso) sostiene che la mente di un soggetto medianico può creare da se stessa l'apparizione che percepisce. Egli ammette che le tracce psichiche del passato, immagazzinate, possano dare luogo a fenomeni di apparizione, ipotesi che avevamo già considerata in "La personificazione come fenomeno parapsicologico". Al tempo stesso, però, Roll ipotizza che le condizioni mentali del percettore possano svolgere un ruolo attivo della comparsa delle apparizioni, al punto da poter creare inconsciamente delle infestazioni, onde poter soddisfare talune proprie necessità di tipo emotivo. Per esempio, la scomparsa improvvisa di una persona può impregnare l'ambiente in cui viveva, la sua casa, al punto da creare, mediante una speciale rispondenza nei nuovi inquilini di essa, una realtà oggettiva, una sorta di semi-personalità, quasi per riempire il vuoto che si è venuto a creare.
    Uno dei casi più suggestivi di apparizione manifestatasi a un bambino è quello riferito da Aurora R&uumlmelin, che poi prese il nome di Wanda e divenne, per dieci anni, la moglie del celebre scrittore austriaco Leopold von Sacher Masoch, nel suo libro di memorie, e che si riferisce a un episodio della sua prima adolescenza.
    «A dodici anni un incidente strano e misterioso mi turbò violentemente e lasciò in me un'impressione incancellabile. Devo premettere che non ero una bambina malaticcia né particolarmente precoce; il mio sviluppo era sempre stato normale e il mio sonno era profondo e tranquillo.
    Il letto di mia madre aveva una specie di doppio fondo, conteneva cioè una specie di cassetto, che veniva estratto la sera: questo era il mio giaciglio. Io dormivo con la testa rivolta verso la finestra che dava sul giardino e, di fronte a me, si apriva la porta che dava nella stanza vicina. Dal momento che il muro divisorio era molto spesso, quando il battente era chiuso la porta formava una specie di nicchia.
    Una notte mi svegliai, non in quel piacevole stato di semincoscienza che, dopo un buon sonno, scompare solo qualche istante più tardi, ma perfettamente lucida, come se non avessi dormito affatto. Un impulso misterioso mi spinse ad alzare la testa e ad aprire gli occhi. Vidi allora, in piedi nella nicchia, la figura di un adolescente di meravigliosa bellezza. La nicchia era oscura, ma l'apparizione era luminosa e sembrava emanare luce essa stessa. Portava una lunga tunica bianca che lasciava scoperti il collo e le braccia, ma io me ne accorsi solo di sfuggita: i suoi occhi cerulei mi guardavano, profondi e dolorosi, e sembravano volermi dire qualcosa, qualcosa di triste e di lieto. E questi occhi avevano un che di noto, di familiare, come se a guardarmi fossero i miei stessi occhi. In un primo momento rimasi come ammaliata, ma a poco a poco mi resi conto della stranezza di questa apparizione: cominciai ad aver paura, e chiusi gli occhi. Il mio cuore batteva così forte che mi pareva di sentirlo. Aspettai alcuni istanti, poi gettai uno sguardo furtivo al di sopra della coperta. L'apparizione era sempre lì. Richiusi gli occhi e aspettai. Quando li riaprii, l'apparizione c'era ancora. Allora mi assalì una paura atroce; chiamai mia madre e la supplicai di prendermi con sé nel suo letto. Lei acconsentì e io, con gli occhi chiusi per non vedere più nulla, mi alzai dal mio cassetto e mi infilai vicino a lei. Mi tirai la coperta sopra la testa e cercai di addormentarmi. Ma non ci riuscii. La curiosità mi spingeva a guardare di nuovo. L'apparizione era sempre lì. Decisi fermamente di non guardare più e, tremando di paura, mi strinsi con forza a mia madre, l'abbracciai, e così riuscii a riaddormentarmi.
    Quando mi svegliai, a mattina inoltrata, il mio primo pensiero fu per l'apparizione; ma la nicchia era vuota come sempre.
    Rividi poi una seconda volta la stessa apparizione, ma fu di giorno, e all'aperto.»
    Vi sono diversi elementi che rendono questa testimonianza degna di interesse, oltre alla qualità letteraria del racconto: confermata, del resto, nel corso dell'intero volume di memorie di questa donna intelligente e fortemente intuitiva.
    Innanzitutto, non è possibile ridurre il fatto alle dimensioni di un semplice sogno, per quanto vivido e impressionante possa essere stato: la ragazzina che ne fu protagonista, a un certo punto, chiese di essere accolta nel letto della mamma, il che non valse a cancellare l'apparizione. Se si fosse trattato di un sogno, ben difficilmente si sarebbe ripetuto allo stesso identico modo. Inoltre, la testimone non ritenne in alcun modo di essersi addormentata; al contrario, riferì di aver visto l'apparizione al suo risveglio: uscendo dal sonno, non scivolandovi insensibilmente.
    L'enigmatico adolescente, dalla figura luminosa e di una sovrumana bellezza, sembra essere un messaggero di qualche mondo parallelo; e, ad onta di una certa ieraticità, che lo carica di valenze simboliche, manifesta effettivamente, con lo sguardo, l'intenzione di voler comunicare qualche cosa: qualche cosa di bello e terribile allo stesso tempo. Notevole il particolare degli occhi, che sembrano gli occhi della testimone: sicché ella ha l'impressione di essere fissata dal proprio stesso sguardo, quasi come in uno sdoppiamento. Eppure, l'apparizione non è il suo "doppio": è di sesso maschile e, fisicamente, non le somiglia; solo lo sguardo sembra quello di lei.
    Un altro elemento interessante è la graduale trasformazione dell'atmosfera emotiva che accompagna la misteriosa apparizione. Aurora, la dodicenne, passa da uno stato d'animo "ammaliato" a uno di crescente inquietudine e, infine, di terrore sempre più forte, addirittura "atroce". L'apparizione permane per un lungo lasso di tempo, ma sembra statica e indecifrabile: qualunque cosa intendesse dire, non può o non vuole comunicarla; e, apparentemente indifferente al turbamento e alla paura della ragazzina, non fa nulla per rassicurarla; né un gesto, né un sorriso. Alla fine, siamo portati a credere che non si tratti di una presenza benevola: quale spirito buono non si commuoverebbe, vedendo la confusione e il terrore crescere nell'animo di una tenera fanciulla che ne è la destinataria? D'altra parte, se si tratta di uno spirito maligno, perché tanta celestiale bellezza; e perché, all'inizio, aveva prodotto in lei un'impressione così positiva?
    Non ci viene detto se quella apparizione fosse l'annunziatrice di qualche evento notevole nella vita della ragazza, lieto o triste. Sembra però di capire che, in quel periodo, Aurora si preparava a ricevere la prima comunione; e, nonostante la bontà e il carattere equilibrato del sacerdote che la seguiva, ella era tormentata da forti inquietudini e scrupoli di natura religiosa. Uno psicologo di tendenza freudiana non esiterebbe a mettere i due fatti in relazione reciproca e a vedere nell'apparizione splendente, ma in definitiva minacciosa, un riflesso dei dubbi e del disagio emotivo della ragazzina, aggravato, quest'ultimo, dall'età puberale. Da parte nostra, confessiamo che una simile interpretazione non ci convince affatto, e per varie ragioni.
    Una di esse è che l'apparizione del fanciullo splendente si ripeté, a distanza di parecchio tempo, e in circostanze completamente diverse: all'aperto e con la chiara luce del giorno. Pertanto ci sembra difficile credere che si sia trattato di una semplice proiezione di una inquietudine dovuta a circostanze ben precise: se così fosse stato, essa avrebbe dovuto manifestarsi in quel ristretto arco di tempo e in quella condizione particolare, legata al buio e alla notte. Un'apparizione in pieno giorno è senza dubbio inquietante, ma non angosciosa e tanto meno paurosa. Inoltre, se è la stessa che già si era manifestata la notte, si sarebbe portati a crederla più legata a circostanze esterne (ad esempio, l'infestazione della casa e delle sue vicinanze) che non allo psichismo, più o meno disturbato, del soggetto che la percepisce.
    Potremmo chiederci, infine, se l'apparizione fosse visibile soltanto ad Aurora o anche, eventualmente, ad altri. Ora, sappiamo che nell'episodio notturno era presente anche la madre di lei, che però nulla vide; mentre in quello diurno non si dice se fossero presenti altre persone. In ogni caso, concludere - come è quasi certo - che solo la ragazza vide l'apparizione, non significa relegare quest'ultima, automaticamente, tra i fenomeni di autosuggestione o, comunque, puramente soggettivi. Un fenomeno di questo genere può essere sia interiore che oggettivo: come le "voci" di santa Giovanna D'Arco, può avere per teatro una scena interiore e, tuttavia, essere assolutamente "reale".
    Chi ha seguito, negli anni Ottanta del Novecento, le apparizioni mariane di Medjugorie (incominciate, per l'esattezza, nel 1981), ricorderà - ad esempio - che lo sguardo dei ragazzi che ne furono protagonisti si spostava sincronicamente, come se vedessero tutti la stessa cosa, e questa cosa si spostasse davanti a loro; e ciò avveniva senza che i ragazzi si guardassero reciprocamente. L'ultimo dettaglio escludeva la possibilità che vi fosse intesa fraudolenta tra loro; il primo, implicava che davanti ai loro occhi ci fosse realmente una visione, anche se nessun altro era in grado di percepirla (e ciò sia detto indipendentemente dal valore di verità, religiosa e soprannaturale, che si intende attribuire a quella vicenda).
    Sarebbe estremamente semplicistico concludere che, se un fenomeno non è verificabile oggettivamente, la sua attendibilità crolla. Così come esistono diversi livelli di coscienza, del pari esistono differenti gradi di spessore ontologico dei fenomeni. Un evento è reale se viene percepito, sia oggettivamente che soggettivamente (e il filosofo Berkeley direbbe che noi percepiamo "tutti" i fenomeni soggettivamente). Il contenuto di un sogno, ad esempio, è qualcosa di reale, anche se di un grado di realtà diverso - più tenue, forse - rispetto a quello della coscienza desta. Anche una fantasia lucida ha un suo grado di realtà, tanto più che può essere orientata e organizzata mediante l'immaginazione e la volontà.
    Che dire, dunque, di esperienze come quella che la giovanissima Aurora R&uumlmelin fece nella sua camera da letto, all'età di dodici anni, e che tanti altri ragazzini della sua età, o anche più piccoli, hanno fatto a loro volta, generalmente senza osare parlarne con anima viva?
    Per noi, una cosa è certa. I bambini, molto più degli adulti, possiedono doti naturali di sensitività, per cui si trovano a vivere situazioni che noi siamo abituati a collegare alla figura e all'esperienza del "medium". Detto in parole semplici: vedono, senza sforzo, cose che noi non vediamo; odono cose che noi non sentiamo. Cose bellissime e cose orribili; in ogni caso, cose reali, che "esistono".
    Ma gli adulti hanno perduto la chiave per accedere a quella magica dimensione della realtà, e tutto quello che possono fare è cercare dei interpretare, senza credulità ma anche senza pregiudizi positivisti, quello che i bambini stessi raccontano: ahimè, generalmente quando ormai è troppo tardi, ossia quando anche loro sono entrati definitivamente nell'età adulta, perdendo quella famosa chiave.

    Fonte: docs.google.com
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