Replying to Il Dante..templare

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  1. Posted 1/3/2010, 16:54


    Dante...templare "Fedele d'Amore"

    di Vittorio Vanni

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    Nel Paradiso ci avviciniamo sempre più alla luce. Il primo canto, secondo l'uso classico, invoca l'ispirazione lirica. Ma quale era la luce a cui aspirava Dante? E quali erano le sue radici?

    Plotino chiamò il principio dell'armonia naturale “Intelligenza”, (il nous), mettendo sopra di esso l'Uno Assoluto, sotto di esso la psiche. Al culmine della vita spirituale Plotino vede l'estasi. Nel grande vuoto dell'anima che si priva di ogni pensare, desiderare, aspirare, si compie l'ingresso della grande quiete, della pienezza della felicità. Questa illuminazione è prodotta, per Plotino, da Eros. L'eros è l'aspirazione al mondo superiore, al superamento del condizionamento materiale.

    Dante dice “Al cor gentile ripara sempre Amore”. Il neoplatonismo agisce nel pensiero cristiano attraverso Riccardo di San Vittore, Agostino, Boezio e Scoto Eriugena.

    Rientra poi in Occidente attraverso i contatti con l'Islam. Gli ultimi filosofi della scuola neoplatonica di Atene, chiusa da Giustiniano, emigrarono in Persia e lì i loro successori vennero in contatto con l'Islam, dando origine alla sua corrente mistica, il sufismo.

    La venerazione araba per l'Intellectus Activus plotiniano trovò poi la via per l'Europa attraverso la corte imperiale di Federico II a Palermo, la Spagna ed i Cavalieri Templari. Qui converge l'esaltazione dell'Eros plotiniano, della venerazione dell'Amore.

    Amore che non nasce dalla sola vista, ma dal vedere e ripensare costante. Questo travaglio intellettuale del ripensare costante è sottolineato in modo continuativo dai Fedeli d'Amore.

    Nel Templarismo spirituale questa abitudine alla riflessione profonda diventa caratteristica essenziale, soltanto nel suo ambito può formarsi quella elite spirituale a cui si aspirava come germe del rinnovamento di chiesa ed impero.

    I Templari, acerrimi nemici della Ecclesia Carnalis, scaturita dalla donazione costantiniana, si consideravano come silenziosi portatori di questo germe della nuova chiesa, in piena concordia con le tesi di Dante.

    Una catena iniziatica ininterrotta passa da Ermete Trismegisto per Pitagora, Platone, Seneca, Plotino e Giamblico fino ai Fedeli d'Amore ed ai poeti ghibellini siciliani, ed attraverso i Templari fino all'Accademia Platonica di Firenze.

    Anche se Plotino ricusava la gnosi, i fondamenti del loro pensiero e delle loro aspirazioni filosofiche ultime erano simili e si fusero, irradiandosi nella morente religione greco-romana come nei tre monoteismi di origine medio-orientale.

    I Templari, come i poeti d'amore dell'alto medioevo s'inseriscono a pieno titolo nella tradizione ermetico-gnostica-neoplatonica. Dante nella sua lenta e faticosa ascesa dal buio delle umane nefandezze verso la luce di Dio, si rivela gnostico, esprimendo le grandi verità in modo appena velato per tenerle a disposizione di chi ha orecchie per sentire.

    L'accenno di Beatrice (Purg. XXXI, 51) alle sue “membra in terra sparse” suona simile ad un passo nel Vangelo di Eva, gnostico: “Io sono tu e tu sei io, e dove tu sei là sono io, e in tutti io sono sparsa”, analoghi passi possono essere trovati nel vangelo di Filippo.

    Del resto come la gnosi templare recepì il sufismo islamico, così nello stesso periodo fu scritto nella Spagna musulmana lo Zohar, massimo libro della gnosi ebraica. La raffigurazione di Dio come punto Luminoso (Par. XXVIII,16) è una immagine tipica della Cabala.

    La gnosi templare accoglie la ricerca della progressiva smaterializzazione dell'uomo interiore, fino alla spiritualizzazione suprema. L'amore descritto è l'eros neoplatonico, la causa della mors philosophorum, della distillazione ultima della componente divina dell'uomo. Nel Convivio Dante dice:

    “Quella fine e preziosissima parte dell'anima che è la deitade” (Convivio III,2).

    In questo contesto la conquista della visione di Beatrice, che poi si fa tramite della visione di Dio, è un'elegante esposizione della dottrina gnostica templare della beatitudine.

    Beatrice fa parte di quella schiera di donne allegoriche care ai poeti del Dolce Stil Novo e come tali continuazione della tradizionale raffigurazione della sapienza come femminile (sophia, shekinah).

    Il culto della donna allegorica proveniva dalla Persia. Lì nacquero tutti i grandi luminari dell'Islam, e lì si formò la scuola mistica dei sufi. Molte poesie sufiche esprimono un netto indifferentismo religioso, attaccato di panteismo da fonte cristiana, ma mai apertamente sconfessato dalla gerarchia ortodossa islamica, come lo furono invece analoghi movimenti gnostici cristiani influenzati da tale pensiero.

    I manichei per esempio professavano uno gnosticismo dualista secondo influenze dello zoroastrismo persiano. Nel loro linguaggio segreto usavano chiamarsi i “Figli della Vedova”, forse per influenza egiziana del culto d'Iside.

    I trovatori del sud della Francia, spesso in opposizione a Roma, furono fonte di trasmissione del sapere della cultura araba consolidatasi in Spagna. Gli albigesi ripresero alcune teorie, singolare è l'importanza data al vangelo di Giovanni, letto come “Consolamentum” all'imminenza della morte naturale. Affiora in essi la dottrina della purificazione delle anime tramite la trasmigrazione, concetto di origine indoeuropea, giunto in provenza attraverso la Persia ed i mistici arabi della Spagna.

    È singolare comunque che la lotta dei poeti amorosi provenzali, così vicini alla eresia albigese, contro la curia romana conosce una eccezione: i Templari.

    Mai un trovatore ha cantato una satira contro questo Ordine. Una comune origine gnostica accomuna albigesi, Templari e sufi, in contatto tra loro ed espressione della gnosi nelle loro rispettive religioni.

    La mistica in Persia diventa la maschera del libero pensiero ed in modo similare lo intendono i Templari. La setta degli ismailiti, che conosceva sette gradi di perfezione era l'espressione estrema, con la sua autonomia ed opposizione all'autorità dogmatica, di tale pensiero. I sodalizi Templari, impegnati dalla gnosi della Gaia Scienza d'Amore, adottarono in tutto il suo rigore la segretezza dei misteri antichi e svilupparono tecniche iniziatiche.

    Le prime donne allegoriche cristiane erano nate a Palermo, alla corte di Federico II, ed il loro nome era sempre Rosa. L'amore cantato alla corte di Palermo, si applica chiaramente alla spiritualità templare, che del resto era in sintonia con la corte ghibellina.

    Nata a Palermo, la poesia d'amore come forma di gnosi si estese in Toscana e al resto d'Italia. Le donne allegoriche iniziarono a fregiarsi di nomi sempre diversi, realistici e di migliore copertura pubblica. Del resto questi poeti non operavano più con il consenso e sotto la protezione dell'illuminato imperatore Federico II alla corte di Palermo, ma in condizioni varie, spesso in ambienti guelfi legati al papato, ed una maggiore segretezza era d'obbligo.

    Dino Compagni chiama “Donna Intelligenza” la sua donna, vestendola dei colori verde rosso e bianco, visti anche in Beatrice. Come in Guido Cavalcanti troviamo analogie di pensiero con il sufismo di Ibn Bagga, in Dante riecheggia lo spagnolo Abu Arabi.

    Vediamo intensamente influenzate dalla poesia e dal pensiero islamico la poesia provenzale, e forse ancor più quella siciliana e la toscana. In questo si vede una fusione di neoplatonismo ed aristotelismo. Plotino vide l'anima come un pezzo d'oro insudiciato ed infangato, al quale si ponevano due alternative, quella dell'ascesa e della liberazione, e quella dell'affondare nella semplice materialità del corpo.

    La via verso l'alto, verso gli dei, verso l'intima natura dell'Io, era anche quella che tentavano di dischiudere gli antichi misteri. Beatrice, la Donna del suo spirito, nel Paradiso terrestre, sito in cima al monte del purgatorio, e da lì Beatrice lo eleva al Paradiso celeste.

    Al centro del manto terrestre che copre l'imbuto infernale, sta Gerusalemme. L'idea del purgatorio come monte e del paradiso come sua cima è del resto tipico dell'Islam. Il Paradiso, posto agli esatti antipodi, come immagine speculare, della città di Gerusalemme è un tipico pensiero templare. Dante nel suo viaggio intende se stesso come la rappresentazione allegorica dell'Umanità che si eleva verso la perfezione.

    Sulla soglia del Paradiso, Virgilio gli conferisce tiara e corona imperiale come simbolo dei due poteri che solo uniti possono aprirne la porta.

    Per Dante il Paradiso terrestre è il sito simbolico del tempio. In esso egli incontra Matelda che raccoglie fiori gialli e rossi, i colori dello stemma di Gerusalemme. Procedendo incontra i fiumi Lete ed Eunoè, che delimitano l'angolo Nord-Est, posizione in cui si pone la prima Pietra della costruzione del Tempio, angolo in cui incontrerà Beatrice.

    Come antipodo esatto di Gerusalemme, questo angolo Nord-Est corrisponde all'angolo della città ove si trovano i resti del tempio di Salomone. Il punto in cui incontrerà il carro trionfale di Beatrice corrisponde al sito della chiesa ottagonale dei Templari, ed aveva il nome di Templum Salomonis.

    Salomone nel Paradiso saluta Beatrice, donna allegorica, con il canto “Vieni sposa dal Libano”, (dal Cantico dei cantici) che nel medioevo indicava la Chiesa Spirituale.

    Dante segue poi il carro trionfale verso Oriente per tre tiri di freccia, circa 210-240 metri, raggiungendo l'albero del bene e del male, luogo ove Satana fu vittorioso sulla coppia umana. Agli antipodi, sul piazzale del tempio, dopo un analogo tragitto, si raggiunge l'angolo sud-est, detto pinnacolo del tempio, ove secondo la tradizione avvenne la tentazione di Cristo da parte del maligno.

    Il 33° canto del purgatorio inizia con le parole del salmo 79: “Deus, venerunt gentes”, che prosegue poi con “polluerunt templum sacrum tuum”. L'allusione alle “genti che hanno invaso e profanato il tempio del signore” è ovvia.

    Beatrice risponde con le parole del Vangelo di Giovanni (16,16):

    “Ancora un poco, e non mi vedrete più, e un altro poco e mi vedrete di nuovo”,

    alludendo alla speranza nella resurrezione dell'Ordine.

    Beatrice, parafrasando le parole dell'Apocalisse (17,8) dice “Sappi che ‘l vaso che il serpente ruppe fu e non è” (Purg. XXX, 34), negando con tale espressione la legittimità del Concilio di Vienne.

    Come salvatore viene indicato il DVX inviato da Dio (Purg. XXX,43). Con questo non può essere inteso altri che il ricostruttore del Tempio, ricostruzione auspicata da Beatrice, allegoria della gnosi templare, e da Dante, in quanto adepto.

    La ricostruzione del tempio di Salomone, distrutto nell'anno 588 a.c. da Nabucodonosor II, avvenne da parte di Zorobabel nel 515 a.c. come generalmente accettato nella storiografia ebraica (Herzfeld, Dressaire). Il DXV-515 sta per l'annuncio di una seconda ricostruzione, di un secondo Zorobabele, e come tale dell'imperatore gioachimita.

    E con la ricostruzione del tempio si combina la purificazione della chiesa operata dal Papa Angelicus, l'annunciato Veltro di Virgilio, con la ricostruzione della unità di Croce ed Aquila, una volta considerata essenziale per la salvezza umana.

    Dante denuncia come “compagnia malvagia e scempia” la sua parte politica e ben pochi scampano alla sue irose raffigurazioni poetiche: ma vi sono delle rare eccezioni, e sono per coloro che furono suoi amici e fratelli.

    Parole d'affetto, compassione, amore Dante le riserva a coloro che sono in “piccioletta barca” (Parad.Canto II)

    “O voi che siete in piccioletta barca
    Desiderosi d'ascoltar, sèguiti
    Dietro al mio legno che cantando varca.

    Non vi mettete in pelago; ché forse
    Perdendo me, rimarreste smarriti.
    L'acqua ch'io prendo, giammai non si corse:

    Minerva spira e conducemi Apollo
    E nove Muse mi dimostran l'Orse.
    Voi pochi altri che drizzaste il collo

    Per tempo al pan degli angeli, del quale
    Vivesi qui, ma non sen vien satollo.
    Metter potete ben per l'alto sale

    Vostro naviglio, servando mio solco
    Dinanzi all'acqua che ritorna equale.”

    Solo per quei pochi ebbe amore e rispetto, soprattutto per quel grande personaggio che fu Guido Cavalcanti e a Lapo Gianni, la triade fiorentina degli anni migliori e della più perfetta affinità spirituale.

    Ricordate il sonetto?

    “Guid'io vorrei che tu e Lapo ed io
    fossimo presi per incantamento
    e messi in un vasel cad'ogni vento
    al voler vostro andasse e al mio.
    E Monna Vanna e Monna Lagia e poi,
    con quella ch'è sul numer delle 30...”

    Quella ch'è sul “numer delle trenta” è Beatrice. Molto spesso Beatrice ha rapporti con il 9 nella divina Commedia, e il nove è l'ultimo dei numeri dispari, divini secondo Pitagora. Ma 30 è formato da 3 x 9 + 3 ed il numero dei cori angelici che sono più prossimi a Dio. Un antico testo ermetico afferma che, giunto al 9, il saggio si tacque.

    Ed in questa terna di perfezione che consiste la crittografia dei Fedeli d'Amore, il mistero profondo della Sophia, la Sapienza santa.

    Beatrice, Giovanna, Selvaggia, sono le “Dominae” le Signore, le terribili entità feminine che formano l'entità animica dei loro Fedeli.

    Vi è uno splendido monologo biblico della Sapienza:

    “L'Altissimo mi ebbe con se all'inizio delle sue imprese, prima di compiere qualsiasi atto, da principio. Ab Aeternum sono stata costituita, anteriormente alla formazione della terra. Io ero già generata e gli abissi non esistevano e le fonti delle acque non scaturivano ancora, né i monti ancora sorgevano con la loro grave mole; prima ancora dei colli fui generata; non aveva ancora creato la terra, né i fiumi né i cardini del mondo. Quando disponeva i cieli fui presente, quando accerchiava gli abissi nel giro regolare dei loro confini, quando fissava in alto le atmosfere e sospendeva le fonti delle acque, quando segnava intorno al mare il suo confine e poneva un limite alle acque affinché non oltrepassassero le sponde, quando gettava i fondamenti della terra, assieme a lui disponevo di tutte le cose e mi deliziavo in tutti quei giorni, trastullandomi di fronte a lui continuamente, trastullandomi nel cerchio della terra e la mia delizia era vivere con i figli degli uomini”.

    Dalla Bibbia: I Proverbi

    Fonte(stralcio): esonet.it (per l'articolo intero: www.esonet.it/News-file-article-sid-893.html)

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